Innanzitutto c’era la necessità di dire cosa stava dentro l’involucro, pensiamo alle medicine o alle tipologie di gusto di una marmellata o una bibita. In secondo luogo si voleva rendere più appetibile una confezione. Una composizione grafica o un’immagine valorizzavano subito l’effetto complessivo: alcuni disegni erano a tema, proponevano cioè una situazione in cui il prodotto veniva usato; altri miravano esclusivamente a catturare l’attenzione. Presto ci si rese conto che i prodotti si vendevano meglio se esibivano un elemento di prestigio: lo stemma reale, una medaglia vinta a un’esposizione commerciale, un certificato di genuinità davano fiducia ai consumatori rispetto alla qualità. Negli anni Cinquanta del nostro secolo vene introdotto un ulteriore sistema per l’incremento delle vendite: l’incentivo diretto all’acquisto (sconti, premi fedeltà), piuttosto che la possibilità di riutilizzare il contenitore dopo l’utilizzo e la conservazione delle etichette su appositi album.
Per quanto riguarda l’etichetta in sé, da segnalare nel 1935 la prima etichetta autoadesiva; più di recente sono stati approntati numerosi materiali sintetici basati sulle proprietà della plastica, che rendono l’etichetta più resistente. In molti settori le tradizionali immagini vengono stampate direttamente sulla lattina, sulla scatola o sulla bottiglia e ciò potrebbe condurre in ultima istanza alla scomparsa della familiare etichetta di carta. Le etichette, inoltre, potevano essere applicate in vari punti della bottiglia. Ci fu un periodo in cui la bottiglia del liquore Benedictine ne esibiva cinque!
Il posto più strano dove collocare un’etichetta è probabilmente il fondo della bottiglia, ma anche questo è stato fatto: sul fondo della bottiglia dell’aceto di malto Dear Brothers c’era un’etichetta rotonda che informava chi versava l’aceto del fatto che “era conforme alle prescrizioni dei Food and Drugs Acts e a tutti i relativi regolamenti”.